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Basta retorica. Le donne fanno più fatica. Dati alla mano.
La prima ricetta del medico mi fece incazzare. Primipara attempata*. No, ma dico, attempata a chi? Facevo i 10 km in 56 minuti, avevo un lavoro super, uscivo la sera, ballavo, suonavo. Ma pare sia così. I figli li devi fare prima. Università, master, carriera? Fatti tuoi. Fai tutto, fallo pure, ma dopo i 35 come madre sei attempata.
Quando dici il peso delle parole…
Ospedale Sacco di Milano, 2008. Lì ho fatto – in quanto primipara attempata – l’amniocentesi. Dopo il prelievo tenevano un’oretta in osservazione, in una stanza con tanti lettini, una vicina all’altra. Tutte al terzo mese e qualche settimana.
Lorenza, sul lettino a fianco mi dice: “Che invidia che sei ancora così magra… Lavori?”
Non capivo il nesso. “Grazie. Eh beh, si, lavoro”
“Quindi puoi nascondere ancora?”
”Nascondere in che senso?”
“Eh, io ho il terrore di dirlo in ufficio da me, finirà come con tutte quelle che hanno avuto figli… al rientro in un angolo. E poi a casa.”.
Le ho raccontato che nel mio ufficio all’annuncio avevamo fatto una festa, come peraltro facevano tutte, che da me le quote rosa avevano superato le azzurre – anche in ruoli di responsabilità- e che una collega era stata promossa mentre era in maternità.
Ho capito poi di essere stata molto, molto fortunata. E forse di aver sostenuto la fortuna nel tempo con tanta dedizione, forza di volontà e passione.
Ospedale Sacco di Milano, 2020. Ospedale di riferimento per la gestione delle cure al Covid-19.
Davanti alla malattia uomini e donne non esistono, esiste la malattia. Punto.
Ma a pagare la crisi derivante dall’impatto dei contagi oggi sono le donne.
Un mio ex capo diceva sempre: i dati non sono un’opinione. Dati alla mano, puoi dire anche cose scomode. Eccoci qui. Diciamole.
Primo dato.
Dei 444mila occupati in meno registrati in Italia in tutto il 2020, il 70% è costituito da donne.
Secondo dato.
Su 101mila lavoratori che hanno perso il lavoro a dicembre (-0,4% rispetto a novembre), ben 99mila sono donne.
Ce lo dice l’Istat.
Il tema non si riferisce (solo) alle posizioni apicali o che ricevono compenso adeguato al pagamento di aiuti/supporti familiari, il tema è ampio e alla base. Non è la retorica sulle quote rosa, sui nomi – direttore o direttrice? – o sul congedo parentale, il tema è prima di tutto culturale. Il tema è delle tante Lorenza che (se) lavorano e vivono in questo paese spesso non possono pagare aiuti perché la loro retribuzione (a proposito, gender pay gap medio poco sotto il 10% nel 2019, terzo dato) non lo permette, e che davanti alla scelta figli o lavoro (ma si può in un paese civile dover far fare la scelta?) scelgono i primi.
Che poi, si fa presto a dire scelgono.
Ne ho parlato con qualche amica che ha potuto e voluto scegliere il lavoro. In un equilibrio spesso instabile, con 1000 sacrifici, poche ore di sonno, dubbi, in un equilibrismo che alla fine è riuscito. Come per la sottoscritta.
Daniela è Professore Ordinario alla Università Statale di Milano. Mi scrive su whatsapp: “Basta parole. Servono investimenti significativi nel welfare aziendale femminile per conciliare realmente vita professionale e privata”.
Eh, il welfare. A Milano tra nidi e scuole dell’infanzia si coprono 30.000 utenti. Per un posto al nido la gente darebbe un braccio. E gli altri? 600-800 euro/mese nei privati. Sic est.
Francesca è psicologa e libera professionista, primipara attempata pure lei, parte del popolo delle partite IVA direbbe qualcuno. Se non lavora non guadagna, direi io (e lei). Tre figli e sempre sul pezzo. “Ho avuto l’assurda pretesa di non mollare il lavoro e per questo ho tenuto lo studio in casa per seguire tutto: professione, figli, casa. Perché se non hai aiuti anche il portare e riprendere i figli a scuola diventa uno tra i tanti impegni da incastrare in agenda. Perché poi, se come donna guadagno di meno è ovvio che il tempo più prezioso sia quello degli uomini”.
Ovvio è ovviamente retorico. Pare che la gestione logistica dei figli sia troppo spesso solo per le mamme. Eppure, a guidare sono capaci anche i papà. Anzi, dicono di essere pure più bravi. Dicono.
Giorgia è un ex Medico senza Frontiere, per anni in Africa – anche in Sierra Leone ad aiutare i malati di ebola – che è diventata mamma in Italia e che senza la famiglia farebbe molta fatica. “Lo scorso anno, come esperta di malattie infettive sono stata obbligata a turni di lavoro impegnativi 7/7. Mio marito era a casa in quel momento perché la sua attività era chiusa a causa del lockdown, e con un figlio di 2 anni e nessun supporto in termini di welfare sarebbe stato impossibile gestire tutto. Oggi lui lavora e i miei genitori, che sono genitori di una figlia che ha girato il mondo, sono felici di potermi finalmente aiutare. Il vero tema per me, che sono stata anni a servizio delle emergenze sanitarie, è che sono ancora precaria, e non trovo stabilità. L’unica cosa stabile e sicura è la passione per il mio lavoro.”
Giorgia è primipara attempata, se ci fosse qualche dubbio. Parla di passione. Mi chiedo quanto sia passata (o quando) a molte donne lavoratrici. Perché la vita non sempre ti offre l’opportunità di fare della tua passione un lavoro o lavorare con passione. Perché è ancora una volta un problema culturale. E di sopravvivenza, in un mondo del lavoro che considera ancora la maternità un ostacolo e non un’opportunità (per quanto mi riguarda, coi figli sono migliorata un sacco nella gestione delle priorità e nell’ottimizzazione dei tempi, e credo lo possano sottoscrivere tutte le amiche citate sopra).
Poi c’è Valentina, ingegnere, 31 anni e potenziale primipara attempata (!!!). “Ho la fortuna di aver trovato un’azienda dove le donne sono davvero rispettate. Non posso però dire lo stesso del settore dell’ingegneria civile: soprattutto il cantiere non è un mondo pronto! Ma coraggio e forza non ci mancano. L’unica certezza è che presto dovrò rivedere le mie priorità e speriamo questo non porti ad allontanarmi dal lavoro che amo!”.
Mi viene da dirle che sarà bravissima, ne sono certa, anche con nuove priorità. Però, dai, che bello, una buona notizia, le aziende che sostengono e rispettano l’occupazione femminile esistono.
Nel nostro piccolo, anche noi beryllium continueremo ad impegnarci sempre affinché le discriminazioni salariali e di gestione delle persone siano assolutamente assenti nelle nostre attività. L’inclusione e la valorizzazione delle diversità, siano esse di genere, di orientamento politico o sessuale saranno sempre il nostro mantra.
Ah, quarto dato. Pare che i paesi che hanno affrontato meglio la pandemia siano per la maggior parte guidati da donne. Fonte CORDIS, il Servizio della Commissione Europea di Informazione in materia di Ricerca e Sviluppo.
Così, per dire.
Ps: mio figlio ha letto l’articolo e ha riso alla parola attempata. Attempata un paio di xyçd# (cit.). E sono passati 13 anni…
Ps2: riferimenti a persone e fatti non sono casuali e/o usati come esempio, ma tutto terribilmente reale, nomi inclusi.