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Poco tempo fa ho guardato un video di me bambina: una di quelle VHS piene di polvere con l’etichetta stampata e colorata dal tuo papà ignaro dei progressi tecnologici che si sarebbero fatti e di come quel mattone nero sarebbe diventato invisibile.
Mi sono guardata e l’idea che mi ero fatta di me bambina come di un piccolo angioletto che sprizzava energia ma era ubbidiente, calmo e mansueto, si è disintegrata completamente come un ologramma bellissimo che all’improvviso non riceve più segnale, come il vetro di una finestra troppo vicino alla piccola comitiva di quartiere durante l’ora della partitella di pallone.
Dunque quello che ho visto è stato una piccola, piccolissima me che non solo voleva stare a tutti i costi davanti l’obiettivo, ma lo rendeva anche molto difficile perché si muoveva alla velocità di un leprotto nei campi o di una zanzara che fugge dalla manata dell’uomo. Se devo essere schietta assomigliavo molto di più alla zanzara perché ero incredibilmente fastidiosa e molesta. Non riuscivo a stare ferma un secondo che sia uno e avevo un’energia e una vivacità per cui credo di aver messo a dura prova i miei genitori durante la mia infanzia.
7 marzo 2020: l’ultimo allenamento che ho fatto alle bambine. Un allenamento insolito: era sabato mattina e le ho allenate all’aperto, niente attrezzi, niente trave, niente parallele, niente di niente. Solo noi, il profumo dell’erba, tanto spazio per correre e un piccolo senso di paura. Molto lieve ma presente. “Ho fatto bene ad allenarle qui?” “Il decreto prevedeva 1 metro di distanza obbligatorio…potevo rispettarlo anche in palestra.” “E se io ce l’ho questo Coronavirus e glielo avessi potuto trasmettere in un luogo chiuso? Ho fatto bene..” “E se invece sto esagerando perché ti pare che arriva proprio qui?”
Tanti dubbi, tante domande svanite dai loro sorrisi e dalla nostra voglia di fare ginnastica.
Il giorno dopo una frase, un urlo che suonava come una condanna ma che in realtà profumava di vita: «Non ci sarà più una zona rossa, ma ci sarà tutta l’Italia zona protetta».
Ho rievocato il ricordo di me bambina che correvo da una parte all’altra del Parco degli Acquedotti e mi sono chiesta: e se una di loro avesse un centesimo dell’esuberanza e vivacità che avevo io? Come faranno a esprimerla dentro un salotto? È in quel momento che la tecnologia mi è venuta in soccorso.
Zoom è diventato la sala d’allenamento più grande che si potesse desiderare, Instagram il Campionato amatoriale e agonistico dove se vinci le Challenge vinci le coppe più brillanti di sempre, il gruppo Whatsapp la squadra più forte e unita che mai. Mamme e papà ignari fino ad oggi di certe dinamiche sono diventati i content creator più audaci di sempre.
Una comunicazione così impetuosa e ricca di parole, gesti e reazioni non c’era mai stata nemmeno a meno di 1 metro di distanza. Eppure era ed è tutto virtuale: non posso toccarle, non posso correggere le loro posture, loro non possono baciarmi a fine lezione. La domanda è solo una: può la tecnologia rompere le barriere e rendere possibile anche l’impossibile? La risposta è sì.
Chissà se mio padre mentre riprendeva quella zanzarina fastidiosa avrebbe mai potuto immaginare che l’evoluzione di quella tecnologia l’avrebbe portata a frenare ed alimentare il volo di tante altre piccole zanzare.
Lucha Giallombardo