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Cosa hanno in comune le battaglie ottocentesche con le cyberguerre del nuovo secolo? L’arma della comunicazione.
Da Napoleone, passando per il Vietnam fino al conflitto russo-ucraino la parola ha accompagnato il suono dell’artiglieria. Ma cosa accade quando il megafono dei più potenti uomini della terra viene superato dalle moderne tecnologie?
Con cosa si combatte una guerra? Eserciti ed armi, strategie, sanzioni, ma anche parole.
Uno dei grandi pionieri della “comunicazione di guerra” fu Napoleone che, fin dagli esordi della sua carriera militare, mostrò una straordinaria percezione di quanto fosse importante la parola per costruire consenso e sviare l’opinione pubblica – anche, e soprattutto, con un’informazione distorta.
Le sue lezioni sono servite a guerre più recenti: basti pensare a come nel nostro Paese, agli albori del Primo Conflitto Mondiale, la stampa convinse gli italiani – in maggioranza favorevoli alla neutralità – a prendere parte al più sanguinoso scontro mai visto fino ad allora.
Ma la comunicazione come l’abbiamo conosciuta in tempi più recenti vede come punto di non ritorno la Guerra del Vietnam, una guerra “televisiva” in cui il potere dell’immagine ha cambiato le sorti della comunicazione per sempre. È convinzione largamente diffusa che fu proprio questa, la tv, a far perdere per la prima volta un conflitto armato agli Stati Uniti: le crude immagini trasmesse, in contrasto con le parole ottimistiche del governo, fecero capire ai cittadini di essere ben lontani dalla vittoria e di non riconoscersi nelle atrocità commesse, spingendoli a schierarsi contro il loro stesso Paese.
Dal Vietnam emerse quindi una lezione immediata, ovvero che l’informazione dovesse essere controllata. E così fu per le guerre che seguirono: dalla Jugoslavia alle Guerre del Golfo, un’attenzione minuziosa venne concentrata sulla divulgazione di notizie.
Ma nel 2022, vista la crescente quantità e qualità dei mezzi di comunicazione, mantenere un controllo è ancora possibile?
Non possiamo parlare di “controllo” senza parlare di “Infowar”: una parola breve e di facile intuizione. Un nuovo fronte di guerra che, nel 2022, va a sostituirsi alle trincee fisiche del Novecento.
Il concetto, ampiamente utilizzato da esperti – e non – nelle ultime settimane, vuole sintetizzare una strategia estremamente semplice e al contempo delicata: utilizzare l’iper-comunicazione per uno scopo ben preciso.
Quale? Beh, questo dipende dai punti di vista.
La strategia dell’infowar è stata utilizzata dalle potenze occidentali recentemente, nel tentativo di inibire le mosse di Vladimir Putin contro l’Ucraina.
È stata messa in atto da Avril Haines, la prima donna al vertice dei diciassette istituti di spionaggio americani: una mossa che avrebbe fatto da ombrello alla pioggia di giustificazioni lanciate dalla Russia per colpire i propri “vicini di casa”.
La tattica messa in campo dalla stratega? Rendere pubblica la notizia – creata di sua iniziativa – di un fake-video russo ritraente soldati ucraini intenti a commettere atrocità verso cittadini filorussi nel Donbass. Secondo Haines, questa sarebbe stata un’ottima carta da poter giocare dal lato sovietico ed una buona fake news da divulgare per cambiare i piani della Russia. Evidentemente, però, non abbastanza buona per indurla ad un ripensamento.
Dal canto suo, anche il Cremlino ed il suo apparato mediatico sono ricorsi all’infowar per sondare il terreno e preparare l’intera sfera globale alla sua mossa. L’entourage russo ha infatti elaborato accuratamente le parole da utilizzare per giustificare il proprio attacco: quest’ultimo sa bene che, da dopo il Secondo Conflitto Mondiale, nessuna guerra può più essere incitata da un inno nazionalista.
Non è infatti un caso se dalla metà dello scorso secolo i “Ministeri della Guerra” hanno cambiato i loro nomi in “Ministeri della Difesa”: gli eventuali conflitti, da quel momento, potevano essere giustificati solo da una volontà difensiva o combattuti unicamente in nome del “ripristino della giustizia”. Ed è proprio così che Putin ha descritto la sua azione: un’operazione di difesa verso le vittime del regime di Kiev, conclamando il proprio “nemico” come “autoritario e nazista”.
Ebbene, il piano di entrambi gli schieramenti non sembra aver attecchito in modo concreto: la Russia vede il dito puntato da gran parte delle potenze occidentali e, per meraviglia del proprio Capo, non è stata creduta neanche da una parte consistente della propria popolazione.
E la mossa di Haines? A volte prevenire è meglio che curare, ma non se la metastasi ha già colpito. Ed infatti la guerra in Ucraina è cominciata.
Nelle ultime due settimane tutti i giornali hanno annunciato l’inizio di una nuova guerra in Europa. Tutti tranne quelli russi, che in larga parte hanno alleggerito il tono secondo le direttive arrivate dal governo centrale. Si parla infatti di “un’operazione speciale”, e questo in virtù di una macchina di controllo anche chiamata Roskomnadzor. Si tratta dell’Agenzia regolatrice delle comunicazioni dello Stato che si è preoccupata di curare attentamente l’informazione veicolata ai cittadini vietando, ad esempio, di utilizzare termini considerati inesatti per parlare di ciò che sta accadendo in Ucraina.
Le reazioni dei media si sono tradotte in modo controverso. Il conduttore televisivo Yevgeny Popov, ad esempio, ha annunciato che «l’invasione è iniziata, ma non è stato Putin a invadere l’Ucraina. È l’Ucraina che è entrata in guerra con la Russia e il Donbass». L’informazione per lo Stato è esatta, anche se non del tutto: per Roskomnadzor non si può infatti parlare di “invasione” né tantomeno di “guerra”, quanto piuttosto di “intervento al mantenimento della pace”.
L’attenzione dei media in questo caso deve essere massima perché le sanzioni previste per certe “fake news” variano da cinque milioni di rubli fino ad un massimo di 15 anni di galera.
E quindi, se come affermava Rimbaud “è meglio il silenzio che l’equivoco”, le principali piattaforme mediatiche russe hanno deciso di non mostrare le immagini degli attacchi compiuti nelle strade ucraine.
Ma nel 2022 la guerra è “cyber” e in questa Putin si è trovato a giocare in difesa: riuscire a veicolare l’opinione pubblica ai tempi dei social è infatti molto difficile, soprattutto se l’intero pianeta sembra essersi schierato contro di te. Proprio per questo è partita la corsa del leader del Cremlino per riuscire a bloccare ogni piattaforma social sul territorio russo.
Questo può bastare? Non quando Anonymous, il più grande movimento di hacker al mondo, decide di schierarsi con il “nemico” e dichiararti guerra. Ed è così che la comunicazione si trasforma in un’arma a doppio taglio: il metodo napoleonico di distorsione delle informazioni in questo caso non ha funzionato. Il gruppo è infatti riuscito a prendere il controllo dei canali della tv di stato russa, pilotando i palinsesti e mostrando ai cittadini le immagini più cruente di ciò che sta accadendo a pochi chilometri da casa.
E allora il distopico sogno di un controllo totale dell’informazione? Grazie ai social questo sembra rimanere soltanto un – brutto – sogno, mentre gli stessi si rivelano essere le armi del nuovo secolo. Il danno provocato non è però diverso dall’artiglieria reale: questa può combattere il nemico ma, al contempo, ferire innocenti.