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L’annuncio della morte dell’artista è stato dato sulla pagina Facebook Christo and Jeanne-Claude Official. Vita e destino del visionario che realizzava l’impossibile e che in una lettera del ’58 scrisse:« La bellezza, la scienza e l’arte trionferanno sempre». Ricordiamocelo.
Prima di tutto e al di là di ogni retorica, Christo Vladimirov Yavachev è stato un visionario. Con la compagna Jeanne-Claude nell’arco di cinquant’anni ha infatti realizzato 23 progetti monumentali, concependone però ben 47. Si trattava di opere folli, che avrebbero cambiato il paesaggio, la vita delle comunità, la fisionomia urbanistica dei luoghi e che, proprio per questo, solo in alcuni casi passavano dal disegno alla realtà. La vera opera d’arte, per Christo, era realizzare quello che aveva in testa: cambiare l’immagine del mondo attraverso un percorso che durava anni e uno spettacolo che esisteva per pochi giorni o poche settimane, solo per la durata della sua installazione. È stato così in Italia per The Floating Piers, la passerella arancione sul Lago d’Iseo percorsa da 1 milione e 300 mila visitatori in sole tre settimane. Così è nata la Running Fence, una sorta di nuovo Vallo di Adriano in stoffa realizzato tra il 1972 e il 1976 che correva per 40 km a nord di San Francisco. Così Christo e Jeanne-Claude hanno impacchettato Porta Pinciana a Roma (1974) o hanno disseminato 1340 ombrelli blu alti sei metri in una valle a nord di Tokyo. Si perché la loro era Land Art: arte effimera ma mastodontica alla conquista del territorio naturale e dello spazio urbano.
In tutti questi casi, Christo mirava a scardinare in modo definitivo i confini tradizionali dell’arte, quelli della pittura e della scultura. Mirava cioè alla creazione di un nuovo e più diretto rapporto tra arte e vita, a un coinvolgimento concreto della realtà quotidiana, persino ad un’apertura della cultura di élite all’universo delle culture di massa. Riferendosi agli artisti della Land Art, Micheal Heizer ha osservato:« I musei e le collezioni sono stracolmi, i pavimenti stanno per cedere, ma lo spazio reale esiste». È stato così per Christo che in un incontenibile afflato di libertà ha stravolto le geografie dei luoghi, reinventando lo spazio fisico e restituendogli la sua forza primordiale. Ogni volta, ad ogni nuova impresa colossale, ciò a cui ambivano Christo e Jeanne-Claude era allargare a dismisura il campo d’azione possibile dell’arte fino a farlo coincidere con tutta la realtà, sia fisica che mentale, rimettendo così in discussione l’eterno rapporto tra uomo e mondo.
Christo, che era fuggito dalla Bulgaria comunista, affermava di essere stato educato dal marxismo e di aver usato il sistema capitalistico per guadagnarsi la libertà. Libertà significava ridisegnare il mondo, anche se per poco tempo, ma significava anche indipendenza dai committenti. I due artisti infatti finanziarono tutte le loro opere con la vendita di disegni, progetti e modellini.
Dalla prima opera monumentale del 1962, il Rideau de fer – un muro di barili per protestare contro il Muro di Berlino – passando per l’impacchettamento del Reichstag e del Pont Neuf, Christo e Jeanne-Claude volevano rendere il mondo nient’altro che il supporto della propria rappresentazione, una sorta di “tela” per il proprio disegno. Volevano cioè trasformare temporaneamente il visibile e la realtà, offrire un nuovo punto di vista sul mondo. Impacchettare monumenti, allora, non era solo un modo per stupire, ma voleva dire innanzitutto nasconderli ed evidenziarli allo stesso tempo, creando una prospettiva nuova e lasciando immaginare a noi spettatori cosa si celasse sotto quelle gigantesche confezioni.