Vai al contenuto
Cancellate le fiere, le mostre e le inaugurazioni, di fronte a un rischio di paralisi del settore, le gallerie d’arte, insostituibile motore commerciale e culturale del circuito artistico, elaborano strategie di adattamento e sopravvivenza per la vendita e diventano laboratori di sperimentazione di una nuova “creatività virtuale”.
Venne il Covid-19 e tutta l’arte divenne digitale. Tutta, ma proprio tutta, non solo quella dei musei: anche quella delle gallerie. È così: giocoforza anche “l’altra metà del cielo” dell’arte ha optato per scenari e strumenti virtuali per mostrare, promuovere, incontrarsi e, soprattutto, vendere. Sì perché anche l’impulso più inarrestabile della natura umana – quello del commerciare – ha dovuto cedere e adottare le strategie e le tattiche dell’economia immateriale. Da un lato, c’è quindi la risposta culturale del sistema dell’arte, con l’evoluzione dei linguaggi, dall’altro quella più concreta di sperimentazioni commerciali.
Ed eccoci allora al compromesso delle viewing room, che però hanno tre difetti. Innanzitutto l’esperienza online non è mai paragonabile all’emozione che si prova guardando un’opera dal vero. In secondo luogo, l’attività delle gallerie si fonda sulla socialità: inaugurazioni, performance e incontri sono tutte occasioni in cui un pubblico di addetti ai lavori – tra cui i potenziali collezionisti – si incontra e attiva contatti, anche finalizzati alla compravendita. In pratica, l’attività di socializzazione è un fattore fondamentale per quella commerciale. Infine, viene meno il rapporto personale tra gallerista e collezionista, che è un elemento determinante
Rafforzare la propria presenza sulle piattaforme di vendita on-line è una scelta praticamente obbligatoria, ma anche l’apertura ai nuovi mercati lo è. Diverse gallerie hanno infatti deciso di espandere le loro relazioni all’estero, per supplire all’assenza di fiere o di visite in galleria. Due sono però i fattori insormontabili con cui occorre confrontarsi: questa crisi ha ridotto drasticamente le capacità di spesa e ha determinato un clima di incertezza per il futuro, che abbassa la propensione all’acquisto.
Da un punto di vista della sperimentazione e dell’evoluzione del linguaggio artistico il momento attuale si sta rivelando prolifico, ricco di innovazione e soluzioni creative. La Galleria Fumagalli di Milano, ad esempio, ha creato un palinsesto di due appuntamenti settimanali on-line con contenuti culturali: uno in streaming (clip, video, interviste) e un focus su un artista o una mostra. Fondamentale è stato il materiale riemerso dall’archivio della galleria: come le interviste a cura di Alberto Fiz a Giovanni Anselmo o a Dennis Oppenheim.
Inedito 2020 – Virtual Art Project è invece il titolo della mostra che si tiene sui canali social e sul sito della Galleria CRAC di Terni: un progetto espositivo completamente virtuale che raccoglie i lavori inediti, creati in questi giorni di quarantena, di 15 artisti chiamati a una riflessione priva di ogni filtro su ciò che sta accadendo nel mondo. Ogni opera è accompagnata da un pensiero degli artisti e da un brano musicale scelto da loro. Con Inedito, alcuni dei protagonisti del circuito artistico – artisti e galleria – metabolizzano l’evento antropologico del virus ed elaborano una risposta culturale, nuove strade espressive. L’intento è quello di ricominciare dall’arte, da opere inedite appunto, ma esposte virtualmente, che resteranno come traccia di questo momento.
In questa direzione, quella della testimonianza del presente, va anche il progetto Artist Diary di Valentina Bonomo, dell’omonima galleria di Via del Portico d’Ottavia a Roma, che riguarda solo la comunicazione sui social e indaga come gli artisti traducano il loro stato d’animo e la condizione fisica e mentale dell’isolamento attraverso immagini, testo, video e suoni.
Con il virus l’arte sembra, insomma, superare se stessa, in un processo eccezionale di metamorfosi e adattamento: tutti i suoi protagonisti sembrano, infatti, aver capito che sicuramente andrà tutto bene, ma che nulla probabilmente potrà essere come prima, soprattutto noi stessi.
Fabrizio Broccoletti