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Le narrazioni post-moderne ci hanno abituato alla storia di un’arte in fuga dai musei, dalle grandi collezioni e, più in generale, dagli spazi istituzionali e che si fa sempre più spesso public art, secondo modalità di fruizione che entrano nel tessuto sociale e, addirittura, nella struttura urbana della città. Basta pensare al progetto Public Art Depot del Museo Boijmans Van Beuningen di Rotterdam dello studio MVRDV, che sarà la prima struttura al mondo per lo stoccaggio di una collezione d’arte accessibile al pubblico. Impostato su una dinamica diversa da quella del museo, non ospiterà mostre, ma consentirà di aggirarsi fra le 151mila opere d’arte della collezione e di osservare da vicino le operazioni di conservazione e restauro.
I media digitali hanno potenziato da tempo questa tendenza: hanno “aperto” il museo, che con le sue meraviglie grandi e piccole è straripato in mille rivoli nei nostri tablet, negli smartphone, nei pc, viaggiando in streaming o via Twitter, Facebook, Instagram, Pinterest con storie e campagne social. Questo “museo digitale”, pur con tutti i suoi limiti, ha scardinato le retoriche professorali che andavano dall’opera d’arte e dal pannello esplicativo allo spettatore e ha reso quest’ultimo protagonista a suon di click. Tutto questo sarebbe piaciuto enormemente a Marcel Duchamp: per questo colosso della storia dell’arte ciò che conta è infatti la reazione dello spettatore, cioè la vostra e, quindi, la relazione tra arte e cultura.
E così i musei, imparata la lezione, nell’epoca del coronavirus, si aprono con tutta la vitalità della loro offerta artistica alle possibilità dei media digitali e dei linguaggi dei social. Non si tratta più solo di comunicare il loro patrimonio in una logica “frontale”, ma di concepire un nuovo modo di proporre collezioni e mostre. Gli esempi, fortunatamente, sono numerosi ed estremamente vari, come varia è la possibilità di applicare le creatività individuali a questo nuovo armamentario espressivo, producendo nuovi codici e, in alcuni casi, nuovi prodotti culturali.
A Bologna, la direzione di Palazzo Bentivoglio ha ovviamente dovuto sospendere la personale “Vestimenti” dell’artista Sissi, una delle autrici più inventive del panorama contemporaneo che lavora in modo originale su tessiture e cuciture. Ora, sul suo profilo Instagram Palazzo Bentivoglio propone una sorta di “diario giornaliero” della mostra, presenta cioè un’opera inedita di Sissi ogni giorno fino al 19 aprile, quando la rassegna chiuderà.
Nel caso della più prestigiosa realtà espositiva italiana per l’arte contemporanea e cioè il Castello di Rivoli a Torino, un link in home page che reca il suo nome conduce proprio alla figura della direttrice Carolyn Christov-Bakargiev che introduce “Cosmo digitale”, uno straordinario contenitore di meraviglie che ospita creazioni artistiche, conferenze in streaming e documentazioni. Presente anche una selezione di opere inedite che, in alcuni casi, sono state realizzate dagli artisti appositamente per la fruizione digitale.
Da una web produzione ad hoc non poteva esimersi la grande mostra “Raffaello 1520-1483” alle Scuderie del Quirinale di Roma, con una “Passeggiata in mostra” su YouTube e video-racconti e backstage dell’esposizione. Ancora più immersivo il viaggio nell’opera del pittore quattrocentesco Taddeo di Bartolo predisposto dalla Galleria Nazionale dell’Umbria a Perugia che, insieme a rubriche giornaliere sui social, ha creato anche un profilo Spotify, per coinvolgere nella narrazione tutti i linguaggi artistici.
Agli estremi di questa strategia digitale che utilizza i linguaggi social sta il caso interessantissimo del museo DOLOM.IT: è il museo virtuale del paesaggio dolomitico, un “museo piattaforma che co-crea i propri contenuti assieme agli studenti e alle comunità.” Insomma, un museo che esiste solo online, partecipativo, che crea cioè i suoi contenuti digitali coinvolgendo le comunità degli studenti, degli abitanti delle Dolomiti, degli utenti della rete e degli operatori culturali. Una realtà che ha prodotto tour multimediali creati dagli studenti, audiostorie, paesaggi sonori inviati dagli utenti della rete, videointerviste e videoperformance.
In tema di arte, alla fine di tutto, questa pandemia avrà forse consacrato un ruolo nuovo per lo spettatore – per la contentezza di Duchamp – e una capacità sua e delle istituzioni museali di leggere e sfruttare sempre di più i linguaggi digitali, soprattutto in chiave social.
Insomma, preparate gli smartphone: tra poco tocca voi.
Fabrizio Broccoletti